Ci eravamo conosciuti poche ore prima, nella sala riunioni dello Yacht Club Costa Smeralda (YCCS): lì, in neanche mezz’ora di speech tenuto con abilità da grande divulgatore, De Lucia ha condensato per i giornalisti presenti il racconto complesso di un ecosistema marino sofferente e minacciato dalla plastica. Quindi ha spiegato che esso può ancora essere salvato se tutti insieme, a terra o per mare, sceglieremo davvero di cambiare abitudini e comportamenti rivelatisi nocivi per l’ambiente, come ad esempio disperdere la plastica.
Una posizione che ben spiega la collaborazione in atto tra il gruppo di lavoro del CNR di cui Andrea fa parte e la Fondazione One Ocean, l’associazione presieduta dalla principessa Zahra Aga Kahn, diretta dal Commodoro dello Yacht Club Costa Smeralda Riccardo Bonadeo e sostenuta da Audi, che nasce proprio con lo scopo di promuovere la salvaguardia degli oceani e il rispetto per l’ambiente marino. Fondata due anni fa, la Fondazione ha prodotto e promulga la Charta Smeralda, un decalogo pensato per sensibilizzare l’opinione pubblica, gli operatori e gli stakeholder, dove si forniscono indicazioni pratiche su come mutare il proprio comportamento ad esempio, minimizzando l’uso di risorse come l’acqua potabile o l’energia elettrica, proteggendo gli habitat naturali o, ancora, eliminando l’uso delle plastiche e delle microplastiche.
«Non sono qui per demonizzare l’uso della plastica - spiega il ricercatore durante la presentazione - che a tutt’oggi è ancora utile e pratica in molti casi. Sono qui per raccontare come essa, che perdura per moltissimo tempo senza essere attaccata da alcun organismo, se dispersa nell’ambiente finisca con l’interagire con gli ecosistemi marini». Il problema, insomma, siamo noi, che gettiamo via i rifiuti senza curarci del loro destino, illudendoci che finiscano dispersi per sempre, che svaniscano. Non è così: Andrea mostra un’immagine della spiaggia vicina alla stazione del CNR al Polo Nord. C’è plastica anche lì, dove non l’ha portata nessuno ma è arrivata da sola, trasportata dalle correnti.
Il ricercatore del CNR e i suoi colleghi operano scegliendo delle spiagge dove la plastica si accumula, esaminano e catalogano ciò che trovano per ricostruirne la provenienza e provare a comprendere le cattive pratiche che ne hanno causato la dispersione. Come investigatori, lavorano per scoprire le origini di un problema crescente, quindi proporre delle soluzioni sia pratiche sia normative.
Parte delle loro ricerche riguardano poi l’interazione tra animali marini e plastiche, che varia a seconda del colore e della forma (le tartarughe, ad esempio, scambiano le buste per meduse e quindi per cibo), soffermandosi anche sullo studio degli effetti dei diversi additivi associati a ciascun tipo di plastica come ad esempio gli ftalati: questi hanno la proprietà di rendere flessibili e resistenti le pellicole, ma risultano anche molto contaminanti e, se assorbiti dall’organismo umano, causano sterilità nell’uomo.