A4 connect

Oltre la guida autonoma, dove può servire l’intelligenza artificiale in auto.

Dall’abitacolo, nuovo hub per sicurezza e comfort, al motore, ecco come faremo conoscenza con l’AI ancora prima dell’autentica esperienza driverless.

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Stando a un’indagine firmata da Intel e Strategy Analytics, il mercato delle auto autonome, una volta maturo, potrebbe valere la stratosferica cifra di sette trilioni di dollari entro il 2045. La marcia in quella direzione è ormai consolidata e secondo le analisi di BlackRock (e, a dire il vero, di molti altri esperti e osservatori) nel 2025 il 98% dei veicoli sarà connesso. Un decennio dopo il 75% sarà invece autonomo. Ma può essere molto probabile che la prossima auto che acquisteremo non sarà driverless. Tuttavia potrebbe avere, come nel caso delle soluzioni Audi (per esempio Audi Intelligent Assistance e Audi connect che incrociano comfort, sicurezza e connettività), una serie di strumenti già profondamente permeati dall’intelligenza artificiale, con cui dunque cominceremo a fare conoscenza soprattutto dentro e intorno al veicolo, più che nella fase di marcia strettamente intesa.

Ovviamente gli aspetti più affascinanti, e davvero rivoluzionari, saranno quelli che ruotano intorno ai sistemi di assistenza alla guida (già in gran parte disponibili) e all’autonomia di guida di livello superiore al terzo. Anche in questo senso la casa dei quattro anelli è all’avanguardia assoluta: i modelli più avanzati della casa tedesca leggono la strada, ne prevedono le difficoltà e si integrano con l’ambiente circostante, traghettando il conducente verso il futuro della guida. Tuttavia con l’intelligenza artificiale inizieremo a familiarizzare anzitutto all’interno dell’abitacolo. In un contesto che, fra l’altro, costituisce un territorio fertile non solo per gli stessi costruttori ma anche per una grande quantità di startupche potranno fare ricerca e proporre strumenti da integrare.

Uno dei fronti più promettenti è quello del riconoscimento facciale negli ambienti interni. Un ambito in cui il “facial recognition “non è sfruttato per i passatempi per cui lo usano i social network ma, al contrario, per prevenire gli incidenti. Già operativi nei veicoli commerciali e nei tir per monitorare i conducenti e le loro possibili distrazioni, affaticamenti o stati di scarsa lucidità, le videocamere intelligenti hanno condotto negli anni a un abbassamento dei costi assicurativi per le flotte commerciali. Qualcosa di simile potrebbe avvenire anche per i privati cittadini e i loro mezzi personali. Una l’abbiamo vista in passato: la startup del Mit di Boston iSee lavora proprio su questo obiettivo, per rendere l’automobile più empatica. Sempre secondo Intel l’AI potrebbe salvare 500mila vite in dieci anni grazie agli incidenti evitati. Oltre ad avvisare sul proprio stato di guida (e magari, nei casi più raffinati e integrati, intervenire su velocità e tenuta di strada) le camere equipaggiate con algoritmi di allerta e riconoscimento possono tornare utili anche per altri obiettivi, altrettanto importanti: allarmare il conducente se bambini o animali vengono “dimenticati” in auto. Creando insomma un ambiente più sicuro e confortevole.

Non basta. Scrutare all’interno dei veicoli, al netto delle ovvie riserve per la privacy, potrà essere estremamente vantaggioso anche per sistemi diversi come quelli di carpooling o ride-sharing. Nel primo caso per valutare, magari in tempo reale, quante persone ci sono in un veicolo e proporre al guidatore di fare una deviazione magari per caricare un altro passeggero e così abbattere ulteriormente le spese. Nel secondo per garantire che tutte le procedure di sicurezza vengano portate a termine prima della partenza (senza le quali, ad esempio, bloccare la messa in moto) e aumentare il tasso di tranquillità, per esempio consentendo la registrazione volontaria in certe situazioni di allarme. Oppure, in modo molto più elementare ma altrettanto significativo, avvisare il conducente che sta dimenticando la borsa o qualche altro oggetto personale nell’auto a noleggio.

Sempre in tema di sicurezza le possibilità sono davvero entusiasmanti e sterminate. Disporre di una videocamera intelligente collegata ai sistemi dei veicoli può intervenire anche nel contesto di un incidente. Come? Per esempio stimando la massa corporea degli occupanti e la loro posizione, per calibrare meglio il rilascio degli airbag. Sono temi di cui si discute poco, al momento, perché il traino sta ovviamente intorno alla guida ma il design e le tecnologie dell’abitacolo potrebbero cambiare in profondità rispetto a come le conosciamo. Tutto questo senza ovviamente considerare altri elementi che sfiorano più il comfort e l’intrattenimento come i comandi gestuali o in grado di riconoscere il linguaggio naturale a livelli sempre più complessi.

Altro fronte sui cui l’intelligenza artificiale farà il suo ingresso in auto è sotto il cofano. Già molti sistemi automatizzati ci aiutano a prenderci cura del veicolo, segnalandoci disservizi, problematiche, chilometraggi entro cui effettuare il tagliando e così via. Domani tutti i dati che già oggi si possono estrarre dai sensori sparsi per il motore e per il veicolo saranno sottoposti con più semplicità al guidatore. Grazie al machine learning il cervello dei veicolo potrà imparare, leggendo i percorsi e le abitudini d’uso, il vero significato di certe informazioni ed evitare falsi positivi. Così come, allo stesso modo, prevedere gli interventi di manutenzione fuori da una logica puramente chilometrica e prevenire danni meccanici più gravi.

Fra l’altro, queste soluzioni saranno sempre più importanti e non potranno che marciare di pari passo ai veicoli driverless: diminuendo l’interazione col guidatore la capacità di autodiagnostica sarà sempre più importante per le sicurezza dell’auto. Tutto questo senza dimenticare che, in quanto oggetti connessi e custodi delle esistenze (e delle informazioni) di chi ospitano, le auto saranno bersaglio di attacchi hacker sempre più frequenti: l’AI servirà a difenderle da queste minacce, individuando pattern ripetuti o bonificando rapidamente il sistema operativo e i suoi diversi ambienti. Il software automobilistico dovrà dunque essere intelligente e svilupparsi sull’onda di raccomandazioni e indicazioni negli anni partorite da diversi enti, per esempio dall’amministrazione statunitense, due anni fa, nel Cybersecurity Best Practices for Modern Vehicles.

L’intelligenza artificiale potrà anche trasformare i veicoli, sempre più ricchi di sistemi di visione e sensoristica raffinata, in una sorta di sonde e radar mobili. Torneranno cioè utili, integrandosi alle giuste piattaforme, non solo per la loro localizzazione ma anche per migliorare mappe e altri strumenti di navigazione, arricchendoli e integrando dettagli in tempo reale, monitorare il traffico come nessuna app in crowdsourcing può fare così come i flussi dei pedoni o altri tipi di uso che possono solo moltiplicarsi.

Ovviamente gran parte di queste prospettive sono auspicabili ma non è detto che verranno del tutto sviluppate. Dipenderà da una serie di elementi, anzitutto la sostenibilità tecnologica, la fattibilità commerciale, il gradimento e la richiesta dei guidatori, le regolamentazioni spesso contraddittorie in diversi Paesi anche perché le automobili, ormai hub connessi, integrano ormai una serie di aspetti che esulano dall’automotive in senso stretto per intrecciare privacy, sicurezza e ricerca. Tanto che nel lungo periodo anche lo spazio dell’abitacolo, un po’ come accade nei PC e negli smartphone, entrerà in una sorta di conflitto da hardware: le case dovranno scegliere quali servizi includere e quali escludere e il “pacchetto AI”, chiamiamolo così, diventerà un fattore qualificante di ogni modello. Anche per il prezzo, che rimane uno dei fattori-chiave nella scelta di un’auto nuova.